mercoledì 24 ottobre 2007

paradima dei gruppi minimali



H.Tajfel è il più autorevole dei ricercatori che si sono impegnati nel definire le condizioni minime in cui compare il comportamento di discriminazione tra il proprio gruppo d'appartenenza e un gruppo esterno.
Dunque, gli esperimenti a cui ci si riferisce sono quelli che hanno utilizzato il così detto paradigma dei gruppi minimali.
Il presupposto di questa formulazione è che se si dividono dei soggetti che non hanno nulla in comune (anche sulla base di criteri irrilevanti), si introduce per ciò stesso una categorizzazione intergruppo.
Tale categorizzazione è sufficiente a produrre alterazioni significative degli orientamenti di giudizio.
In uno di questi esperimenti curati da Tajfel (1971), ai soggetti sperimentali, alunni di circa 15 anni di una stessa classe, veniva chiesto di esprimere la preferenza per l'uno o l'altro di due pittori ad essi sconosciuti (Klee o Kandisky).
Nel contesto di questo studio si cercò "di eliminare dalle situazioni sperimentali tutte le variabili che di norma conducono a un favoritismo per il proprio gruppo o a una discriminazione rispetto al gruppo esterno. Queste variabili comprendevano: l'interazione faccia-a-faccia; ogni eventualità di una precedente ostilità tra i gruppi; il conflitto di interessi; tutti i legami «utilitari» o strumentali tra le risposte dei soggetti e i loro interessi individuali."
I ragazzi esprimevano la loro preferenza per uno dei due pittori dopo aver osservato alcune riproduzioni di dipinti che venivano loro mostrate e in base a tale preferenza venivano costituiti due gruppi: il gruppo Klee e il gruppo Kandinsky.
Si trattava tuttavia di due gruppi di cui i ragazzi non conoscevano la composizione; se per esempio un ragazzo aveva dichiarato di apprezzare maggiormente Klee, sapeva di essere stato inserito nel gruppo Klee ma non aveva nessuna informazione su chi fossero - tra gli altri compagni - quelli che avevano effettuato la sua stessa scelta.
In condizione di isolamento reciproco veniva a questo punto chiesto ai ragazzi di decidere la suddivisione di punti (equivalenti a somme di denaro) tra due altri soggetti anonimi (di cui conoscevano solo il gruppo di appartenenza) di volta in volta riferendosi ad alcune diverse matrici di pagamento.

In ragione di come le matrici erano strutturate, i ragazzi - che non godevano di nessun vantaggio personale in conseguenza delle loro decisioni - potevano sostanzialmente adottare tre diverse strategie di distribuzione delle ricompense:
1. potevano erogare il massimo ammontare comune del denaro (ovvero scegliere la strategia di attribuire ad ambedue i compagni di classe (indipendentemente dal fatto che fossero categorizzati come gruppo Klee o Kandinsky) la medesima cifra (evidentemente la più alta che la matrice di decisione consentiva);
2. potevano privilegiare il criterio del massimo profitto a favore dei membri del gruppo di appartenenza (senza curarsi di quanto toccava ai membri dell'altro gruppo);
3. potevano optare per quella alternativa che rendeva massima la differenza tra quanto era dato ai membri del gruppo di appartenenza e quello che veniva dato ai ragazzi dell'altro gruppo. In tal caso (di massimo vantaggio differenziale) ottenevano un minor vantaggio assoluto (rispetto alle alternative precedenti).
Ad esempio, con riferimento a due delle matrici utilizzate, scegliendo 13/13 tanto sulla prima che sulla seconda, i ragazzi assicuravano senza discriminazioni ai loro compagni di classe un medesimo comune vantaggio; scegliendo 19/1 sulla prima matrice avvantaggiavano enormemente un compagno del proprio gruppo pittorico rispetto al compagno dell'altro gruppo e nel contempo ottenevano il miglior risultato assoluto possibile; optando per la soluzione 7/1 potevano confermare il vantaggio 'interno' ma non avrebbero offerto al compagno del proprio gruppo pittorico il massimo risultato possibile (che è conseguibile scegliendo 19/25 ma ciò significa anche fare guadagnare di più il ragazzo dell'altro gruppo pittorico).
Di tali strategie, la prima (massimo profitto comune) è risultata essere assai poco perseguita; il massimo profitto a favore del gruppo di appartenenza aveva una certa importanza, ma il più delle volte non quanto il raggiungimento di una massima differenza in favore del gruppo di appartenenza.
Dai risultati è dunque emerso che la strategia più influente sulle decisioni era il raggiungimento di una massima differenza relativa in favore del gruppo d'appartenenza, anche se altre strategie erano più 'razionali' o 'utili' che non la diversificazione di comportamento in relazione all'appartenenza ai gruppi.
In altri termini: lo studio di Tajfel ha evidenziato come più attrattiva per i soggetti la prospettiva di assicurarsi una cifra superiore a quella dell'altro gruppo anziché quella di conseguire un vantaggio in assoluto più elevato ma attraverso una strategia di compensazione del gruppo esterno.
Pertanto è possibile inferire che una categorizzazione in due gruppi minimali, basata su criteri irrilevanti può essere condizione sufficiente per generare un comportamento di discriminazione tra i gruppi e quindi a un favoritismo nei confronti dei membri del proprio gruppo.
Anche alla luce di successivi approfondimenti sperimentali, Tajfel osserva:
"Può essere utile considerare le differenze tra le serie di risultati da noi ott¬nuti, e i risultati del lavoro precedente relativamente piú vicino, nella concezione e nel metodo, alle ricerche descritte in questa sede: il lavoro di Sherif sul conflitto intergruppo. Il suo scopo consisteva nell'indagare, in maniera chiara e esplicita, gli effetti di un conflitto tra gruppi a somma zero [vinco io, perdi tu; n.d.r.], introdotto in maniera chiara e esplicita, sugli atteggiamenti verso il gruppo esterno e sul conseguente comportamento dei soggetti. Inoltre, l'affiliazione nei confronti di un gruppo e l'ostilità nei confronti del gruppo esterno furono entrambe intensificate attraverso una prolungata interazione intragruppo dei soggetti stessi. Nei nostri esperimenti, non c'era un conflitto esterno ben definito; se esisteva una qualche competizione (cioè, atti che avevano come scopo una differenziazione tra i gruppi in favore del proprio), essa era stata introdotta completamente e attivamente nella situazione dai soggetti stessi, dopo che gli sperimentatori avevano da parte loro introdotto la nozione di gruppo. I soggetti non avevano mai fatto parte insieme di un "gruppo", non avevano mai interagito né sapevano chi apparteneva al proprio gruppo e chi all'altro; su di loro, non era stata esercitata alcuna pressione sociale esplicita ad agire in favore del proprio gruppo; e il loro interesse individuale non era in alcun modo implicato nell'assegnazione di una somma di denaro maggiore a un membro del proprio gruppo. Al contrario, un uso sistematico della strategia del massimo profitto comune, avrebbe potuto far sí che tutti i soggetti ricevessero piú denaro dagli sperimentatori."
E questo supposto bisogno di differenziazione (o di precisare la specificità psicologica tra i gruppi) che sembra produrre, a certe condizioni, il risultato piú importante in base alla sequenza categorizzazione sociale - identità sociale - confronto sociale.
In effetti con il suo contributo sperimentale Tajfel ha dato avvio ad un inesausto dibattito sulle ragioni che portano alla discriminazione tra gli individui in quanto appartenenti a gruppi diversi. Tra le spiegazioni più significative vi è quella avanzata di Willem Doise in termini di processi di categorizzazione. Doise [1976], richiamandosi in particolare allo studio di Tajfel e Wilkes [1963], afferma che i comportamenti discriminanti e i giudizi tendenziosi sono frutto di un processo cognitivo fondamentale quale è quello della differenziazione categoriale. Tale processo, come abbiamo avuto modo di riferire, consiste in una accentuazione delle differenze intercategoriali e in una accentuazione dei fattori di somiglianza intracategoriale.
La funzione del processo di differenziazione - ben chiarisce R. Brown - è "quella di perfezionare le distinzioni tra le categorie - e corrispondentemente, confondere le differenze al loro interno - per migliorare l'organizzazione e la strutturazione del nostro mondo fisico e sociale."

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Salve prof,
ero a lezione oggi e i l'esperimento sui gruppi minimali mi ha particolarmente incuriosita...
Soprattutto il fatto di come sia così "semplice" mettere in evidenza quanto le persone siano così meschine: "abbiamo fatto i gentili oggi a garantire ai coponenti del gruppo opposto al nostro (o klee o kandisky)un pò di soldini... e pochi ce ne siamo messi in tasca noi", come a voler essere buoni con il nostro prossimo... Ma chi vogliamo fregare...? Secondo me alcuni dei risultati erano falsati... Ha fatto bene a farci anche l'esempio del voto d'esame.. Se avessimo dovuto scegliere, secondo me, avremmo optato per la bocciatura degli altri e per la nostra promozione con un bel 30 pieno...
Ora mi tolga una curiosità: nel caso in cui lo stesso esperimento fosse stato condotto in gruppi in cui fossero intervenute altre variabili (caratteristiche di quel gruppo), come per esempio sentimenti e affetti, coesione profonda etc.. (cioè nel caso in cui il gruppo non fosse stato minimale), sarebbero stati giustificati i risultati avuto con il primo esperimento...??
Cioè, se anche noi avessimo saputo chi erano gli altri componenti del nostro gruppo e fossimo stati loro "amici", la nostra condotta così "buonista" avrebbe avuto un senso??
Grazie come sempre.

Stani Smiraglia ha detto...

cara curiosa, non ho ben capito cosa vuoi dire quando affermi che "Secondo me alcuni dei risultati erano falsati... "
per quel che attiene ad una eventuale situazione di maggior coesione di gruppo (sentimenti reciproci, ecc.) avremmo ottenuto gli stessi risultati. Tajfel vuole dimostrare proprio questo: che non c'è bisogno di gruppi veri perchè ci sia discriminazione! (si potrebbe anche capire!)...il fatto è che il favoritismo sistematico scatta anche se non si è un VERO gruppo: basta l'etichetta!

Anonimo ha detto...

Salve prof,
i risultati erano "falsati" in riferimento al nostro grado di buonismo... non so se è un mio stereotipo il fatto che i ragazzi alla nostra età siano "leggermente" più cattivi... Mi sono sembrata, tutti mi sono sembrati, un pò troppo generosi nel dare così "tanto" al gruppo opposto e a pretendere così "poco" per sè. Non le pare?? O forse è solo una mia impressione...
Grazie per la risposta.

Anonimo ha detto...

Salve prof. ricapitolando: il paradigma dei gruppi minimali studia le condizioni minime sulla base delle quali le persone etichettate come appartenenti ad un gruppo (sulla base di criteri irrilevanti, arbitrari e senza fondamento) svilupperanno favoritismo sistemico interno e sfavoritismo verso l'altro gruppo. Per far ciò utilizzeranno la strategia del masssimo vantaggio relativo (non assoluto),aumentando la differenza tra il proprio gruppo e quello dell'altro, anche se ciò porterà ad un benessere minore. Il bene che faccio al mio gruppo tiene conto del male che posso fare all'altro.

Anonimo ha detto...

prof. mi correggo distrazione "FAVORITISMO SISTEMATICO" non sistemico